28.2.11

Ricetta: Biscotti speziati

L'ultima volta che sono stata a Bruxelles ho comprato un mix di spezie tritate per dolci da Dille & Kamille, un negozio molto carino in stile finto rustico (il sito è in francese e fiammingo, fate un giro nell'e-shop!). Volevo fare i biscotti come quelli che fanno nei Paesi nordici sotto Natale,quelli burrosi e speziati che vende anche l'Ikea (e che per me sono una droga). Dopo un tentativo passabile ma non soddisfacente, ho adattato una ricetta dell'App iRicette, ecco come ho fatto:

INGREDIENTI
100 gr burro (morbido)
100 gr zucchero
2 cucchiaio grandi di miele (liquido)
250 gr di farina 00
100 gr di mandorle pelate e tritate
1 cucchiaino di bicarbonato
3 cucchiaini di mix di spezie per biscotti Dille & Kamille oppure
1 cucchiaino scarso di cannella in polvere
1 cucchiaino scarso di chiodi di garofano ridotti in polvere
1 cucchiaino di zenzero
un pizzico di noce moscata

Montate insieme il burro e lo zucchero, quindi aggiungete tutti gli ingredienti e impastateli insieme. Formate quindi un salame di circa 4 cm di diametro, avvolgetelo nella pellicola trasparente e lasciatelo risposare in frigorifero per un'oretta (volendo potete lasciarlo anche tutta la notte: io una parte di impasto l'ho usata subito, con l'altra ho fatto i biscotti espressi per colazione il giorno dopo).
Affettate quindi il 'salame' in fette sottili, di 3 o 4 mm di spessore. Mettete i biscotti su una teglia ricoperta di carta da forno e passate in forno già caldo (200°) per 10/15 minuti.
Quindi socchiudete il forno e lasciate i biscotti dentro ancora un po', in modo che si asciughino - attenzione a non farli bruciare!

Il tempo di preparazione è di 20 minuti + 1 ora di riposo + 15 minuti di cottura.

27.2.11

Ebook - 2. La promozione

Dicevo che l’editoria sta cominciando a invecchiare. Certo, è un’impressione molto personale, determinata probabilmente da quello che mi aspetto succeda nei prossimi anni e dalla conoscenza che ho dello stato attuale dell'editoria libraria italiana e della promozione del libro. Promozione che si rivolge in larga parte al libraio. E non potrebbe che essere così: il primo cliente delle case editrici, generalmente, è il libraio. Convincerlo della bontà di una pubblicazione (che spesso vuol dire: convincerlo della bontà dell’ingente campagna marketing che si ha intenzione di attuare) significa assicurarsi ordini di tutto rispetto, ovvero le tanto agognate pile di volumi, che si traducono in notevole visibilità sul punto vendita. (Questa cosa della visibilità in libreria fino a poco tempo fa mi faceva pensare che, di fondo, gli editori considerino i lettori degli sprovveduti, qualcuno che entra in libreria in cerca o di un libro da regalare o dell’ultimo bestseller alla moda, qualcuno che quindi si lascia incantare dal banco Novità. Ultimamente però mi sono resa conto che non è esattamente così: se in libreria entra un lettore forte, punterà sicuramente a qualche libro in particolare ma probabilmente darà un’occhiata anche ai nuovi arrivi. Se in libreria entra un “devo fare un regalo” si fermerà quasi sicuramente davanti alla pila più alta di hardcover).

La notevole visibilità in genere paga, e non importa se si è investito in un romanzo poco più che mediocre: se ha gli ingredienti giusti, il palato dei lettori sarà soddisfatto. In ogni caso, l’importante è che il fenomeno duri a sufficienza, che il titolo magari arrivi in classifica o comunque si riescano a fare un paio di ristampe, e poi fine.

Il lettore insoddisfatto non se la prende mai con la casa editrice anzi, a volte non ricorda nemmeno la casa editrice che ha pubblicato quel dato libro che l’ha deluso. Se proprio, sono gli autori a fidelizzare il lettore, non le case editrici. Ed è giusto che sia così: io leggo un dato autore, non un dato editore.

Insomma, se il libro su cui l’editore decide di investire funziona, sono tutti contenti: editori e librai in primis, perché il ruolo del lettore è quello dell’acquirente finale, non dell’interlocutore principale. Questo ruolo, in questo meccanismo brevissimamente descritto, è quello del libraio. E non c’è niente di male. Solo che da un po’ mi pare che le cose stiano cambiando. Da prima che si cominciasse a parlare assiduamente di ebook, ma la loro crescita non può che accelerare il processo.

Giusto per non usare espressioni idiomatiche, con l’avvento del web 2.0 l’opinione pubblica ha scoperto un nuovo canale di comunicazione e le aziende, almeno alcune, hanno imparato a sondare i loro clienti, a conoscerli, a sospettare che giudizi negativi in rete avrebbero avuto molta più risonanza rispetto a giudizio negativi espressi in canali più tradizionali… Quanti editori in questi anni hanno imparato ad ascoltare di più i loro lettori? Lettori che nel frattempo recensiscono e discutono un po’ dappertutto. Ora, scrivere qualche recensione su aNobii non fa di nessuno una voce particolarmente autorevole, però forse vale la pena vedere i commenti che i propri libri ricevono, e che spesso – per fortuna – vanno oltre il “Mi è piaciuto” “Non mi è piaciuto” ma argomentano, toccando punti diversi e interessanti che vanno dal livello della traduzione ai refusi, dagli errori di logica lasciati nel testo ai giudizi sulla copertina.

Generalmente le case editrici non rispondono personalmente agli aspiranti autori – e questo lo posso capire. Ma spesso non rispondono nemmeno ai lettori: non cercano il confronto e il contatto diretto, sembrano dimenticare che è grazie al lettore che vivono, che il lettore è, a tutti gli effetti, il loro cliente finale. Ora mi chiedo, con la progressiva diffusione degli ebook, non sarebbe il caso di cambiare atteggiamento? Certo, le case editrici continueranno a non fidelizzare il lettore, compito che resterà dell’autore, ma al di là delle varie piattaforme di distribuzione online degli ebook, il rapporto editore/lettore sarà diretto. E allora, come si evolverà il marketing editoriale? Forse uno scambio più stretto tra chi i libri li pubblica e chi i libri li legge potrebbe tradursi in un efficace strumento di promozione. Più efficace di un cartello sagomato in una libreria. E anche di qualche recensione autorevole e ben piazzata.


24.2.11

Ebook - 1. La forma

La storia del libro mi è sempre sembrata affascinante. Alla sua forma e ai cambiamenti subiti nei secoli, i testi di introduzione alla filologia italiana in cui mi sono imbattuta* non dedicano più di un paio di brevi capitoli: una sintetica carrellata al passaggio dal manoscritto al libro stampato. In un contesto filologico, non è la forma quello che interessa ma il testo e il modo di tramandarlo. Perché il supporto è solo uno strumento.

Dai sottili strati di corteccia usati come supporto allo scrivere (ricordati da Plinio il Vecchio) ai rotoli di papiro, dalle tavolette cerate ai codici di pergamena: i ‘protolibri’ (in Europa) si scrivevano a mano. Al massimo, ma siamo già nel Medioevo, si stampava con blocchi di legno (tipo timbro, per intenderci), per lo più carte da gioco e materiali poveri.

L’invenzione, a metà Quattrocento, della stampa a caratteri mobili consacra il libro come lo conosciamo noi: si comincia a parlare di tirature, esistono copie di libri identiche mentre prima, anche se i manoscritti avevano già la forma del libro moderno, ognuno faceva per sé perché ognuno aveva degli errori peculiari: fino ad allora, i libri erano scritti a mano, pazientemente copiati e ricopiati. Ed erano costosi.

Cos’è successo ai manoscritti quando è comparso il libro a stampa? All’inizio niente, il libro a stampa si è affiancato al manoscritto, anzi, non erano infrequenti casi di manoscritti copiati da stampe – probabilmente perché la stampa, più democratica, faceva storcere il naso agli snob dell’epoca tipo Federico da Montefeltro (almeno, così racconta Vespasiano da Bisticci).

Ma il futuro, a quel punto, era già scritto. Certo, non mancano casi limite (Anatole France che copia i suoi libri a mano per una ristretta cerchia di amici), ma l’invenzione di Gutenberg ha segnato la storia del libro. Non è stata una rivoluzione immediata, ma è stata una rivoluzione a tutti gli effetti. Una rivoluzione che ha permesso di diffondere i libri, di pubblicare anche cose meno ‘alte’ (la Bibbia e i testi sacri andavano per la maggiore). Anche con le nuove tecniche sviluppate dal XVIII e XIX secolo, e con gli strumenti moderni, il libro è rimasto quello che conosciamo. Da Gutenberg a noi ci sono più o meno per 5 secoli. Ma i codici manoscritti avevano già la forma, e la praticità, del libro stampato, per cui possiamo dire che la forma che hanno i libri che troviamo oggi in libreria ha circa 22 secoli (col diffondersi della pergamena, pare si sia passati, già nel II secolo a. C., ad Alessandria, al libro nel senso moderno della parola).

22 secoli. 22 secoli di pagine rilegate, scritte o stampate. (22 secoli di editoria: allora faccio quasi il mestiere più vecchio del mondo!)

E adesso, dopo questa piccola eternità, l’editoria sta cominciando a invecchiare. O almeno, la forma. La sostanza dovrebbe restare la stessa: che si legga su una tavoletta di cera incisa, su un libro, su un tablet, su un ereader, si sta sempre leggendo un libro... Ma, come si dice, a volte bisogna mutare la forma per rinnovare la sostanza. Direi che è ormai in corso, finalmente, una nuova rivoluzione. E dopo questa carrellata storica, direi che è ora di parlare di oggi...

* In particolare A. Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana, Il Mulino, Bologna, 1994

21.2.11

Recensione: Quando il diavolo ti accarezza


Ecco una piccola recensione in anteprima (il libro sarà in libreria da giovedì 24 febbraio).

Primo romanzo di Luca Tarenzi pubblicato da Salani (altri titoli sono già usciti per Alacran), Quando il diavolo ti accarezza prende il titolo da un modo di dire: quando il diavolo ti accarezza, vuole l’anima.

In copertina, oltre allo strillo “Cosa succede se il diavolo si innamora?”, c’è una frase di Francesco Dimitri: “Questo libro è una maledizione: leggete le prime due pagine, e non potrete più farne a meno finché non arrivate all’ultima. Siete avvisati”. Be’, è la verità. Almeno se amate i romanzi young adult, angeli e demoni e compagnia bella.

Ma ora basta parlare di copertina, apriamo il libro. Ci troviamo in mezzo a una lotta tra angeli e demoni, ambientata in una Milano notturna e nascosta, dove la vita ‘altra’ scorre parallela alla vita illuminata dal giorno e dalla luce artificiale.

Lena, la protagonista, si trova invischiata in cose molto ma molto più grandi di lei per l’amicizia che porta a Sofia. Proprio inseguendo l’amica sonnambula-in-trance finisce con l’imbattersi in un (bellissimo) demone appena evocato, salvarlo da un angelo e portarselo a casa. Sì, perché in questo libro ovviamente si tifa per i demoni. E sì, ovviamente Lena si innamora subito del suo (come darle torto? Oltre a essere bellissimo, è antico più del mondo, complesso e potente, sanguinario e misterioso ed è stato evocato per uccidere proprio Sofia!).

I confini tra i buoni e i cattivi sono ben sfumati, anzi, difficile dire tra umani, angeli e demoni chi appartenga all’una o all’altra categoria. Direi che tutte le creature non umane sono terribilmente attratte dall’umanità, e questo le arricchisce. C’è un Azazel inaspettatamente altruista – a volte seguire i propri interessi e la propria curiosità rischia di far passare per altruisti. C’è il nostro bellissimo demone evocato, Arioch, incredibilmente tormentato dai morsi dell’amore (ma la scrittura di Tarenzi non si fa banale nemmeno quando scrive di cose che in odore di banalità lo sono). Ma ci sono – e qui secondo me è resa al meglio la complessità del conflitto bene/male – angeli che agiscono da angeli caduti per fare il bene contro le leggi divine e che sono straziati dal loro stesso comportamento.

La storia è complessa, avvincente, ben costruita e, soprattutto, ben gestita dall’autore che segue i vari personaggi dedicando a ciascuno il giusto spazio. Tutti poi, non solo i protagonisti, hanno uno spessore che li rende vivi nelle loro peculiarità (tranne forse Cesare, ex ragazzo cocainomane di Lena, che è un conglomerato di luoghi comuni ma che non avrebbe potuto che essere così).

Per chi conosce Milano, è piacevole seguire i personaggi nei meandri sconosciuti delle vie familiari. Per chi non la conosce, è una città che si presta a essere teatro di scontri e battaglie. E questo mi porta a un altro merito di Tarenzi, la resa dei duelli: non è facile descriverli, ma lui lo fa, e bene.

Diciamo che se avete passato l’adolescenza da un pezzo e non avete voglia di farvi ancora un giro di giostra, questo romanzo non fa per voi. In caso contrario, è una lettura decisamente piacevole, che non lascia alla fine quel fastidioso senso di inutilità che possono avere certi romanzi di questo genere.


(Chiedo scusa per l'immagine della copertina, vedo di rimediarne al più presto una più dignitosa).


20.2.11

Saragozza

Andare in Spagna, ultimamente, mi sembra sempre più come andare in un'Italia più vivibile. Con un clima migliore (ok, in questo periodo non ci vuole molto a battere Milano, è vero...), facce più sorridenti, gente che affolla le strade e vive la città, prezzi più abbordabili, locali più alla mano, cibo buono quasi come quello italiano, città più a misura d'uomo e meno di macchina (di nuovo il mio riferimento è Milano). Sì, sembra la fiera dei luoghi comuni, è vero, ma i parametri per giudicare la qualità della vita per me sono questi. E questa tre giorni a Saragozza non ha fatto che confermare il giudizio.
Perché Saragozza? Perché volevo andare in un posto dove non ero ancora stata, i voli della Ryanair costavano pochissimo e dalle foto la città non sembrava brutta. Si è rivelata la meta ideale per un viaggio mordi-e-fuggi, anzi, se avete voglia/tempo di stare un giorno e mezzo in Spagna, ve la consiglio.

Plaza Nuestra Señora del Pilar
La chiesa di Nostra Signora del Pilar è più bella fuori, anche se all'interno c'è qualche affresco di Goya, invece la SEO (Cattedrale del Santissimo Salvatore) che vedete sullo sfondo merita davvero.

Nostra Signora del Pilar vista dall'Ebro


Il ponte di Pietra, simbolo della città

La Aljafería, ovvero il palazzo più bello di Saragozza
Un cortile interno dell' Aljafería

Ed ecco qualche informazione pratica:
Dove dormire. Ci serviva una tripla, e così siamo andati all'Hotel Avenida. La posizione è buona, il personale è gentilissimo (non parlano inglese, ma ci si capiva lo stesso) e i prezzi sono bassi (25 euro a testa per stanza con bagno in camera, e con anche la colazione inclusa). L'unica avvertenza: la colazione è minimal, nel senso che potete mangiare quanto volete ma ci sono 'solo' marmellate, pane fresco, pane tostato, brioches confezionate, cereali, latte freddo, caffè, latte caldo e succhi di frutta. Insomma, non aspettatevi una colazione con brioches appena sfornate e uova e bacon!

Dove mangiare. La prima sera siamo finiti per caso in un posto un po' pettinato ma non troppo (25 euro, vino - buono - incluso), La Reserva. Tra i vari piatti, consiglio la carne da cuocere sulla pietra ollare. Il menù è solo in spagnolo, i camerieri non parlano inglese ma, tanto per cambiare, sono gentilissimi.
La seconda sera siamo stati invece al Traguanta, che è davvero un posto da non perdere. Hanno tantissime tapas (quelle che ho assaggiato io, tutte ottime!) e, se invece che fare un aperitivo al bancone preferite cenare, hanno una saletta ristorante un po' più tranquilla. Si mangia veramente bene, fanno un'ottima paella (16 euro a porzione, minimo per 2 persone) e sta a voi scegliere quanto spendere, nel senso che è il tipico posto in cui si riesce a cenare con 20 euro ma si arriva tranquillamente anche a 40 euro (per esempio, e parlo per esperienza personale, prendendo un piatto di jamon serrano a 19 euro... Però è forse il migliore che mi sia mai capitato di mangiare, e lo abbiamo diviso in tre!)

Collegamenti aeroporto-centro città. L'aeroporto è comodissimo, a 10 km da Saragozza. L'autobus diretto (la fermata è appena usciti dall'aeroporto) impiega circa 45 minuti e fa capolinea in Paseo de Maria Augustin, da cui poi potete andare a piedi più o meno ovunque, in centro.
In aeroporto c'è anche uno sportello dell'Ufficio del turismo, dove distribuiscono mappe gratuite della città.


Piccola nota a margine: nonostante quanto scritto in apertura di post, ieri sera, mentre giravo per le vie di Milano tornando verso casa, non potevo fare a meno di trovarla bella... la mia storia d'amore con il capoluogo non accenna a incrinarsi!

15.2.11

Recensione: Il profumo delle foglie di limone

In classifica più o meno da quando è uscito, a gennaio, Il profumo delle foglie di limone di C. Sánchez è il romanzo di punta Garzanti di inizio 2011. Scommessa, a giudicare dai risultati, azzeccata, come recita anche la fascetta che parla del successo del passaparola in Spagna - e ora anche in Italia (mi dispiace non poter citare il testo esatto ma, odiando io le fascette, l'ho buttata via non appena ho preso in mano il libro. Il giorno in cui mi capiterà per le mani una fascetta che non dice cose già sentite, la promuoverò al rango di segnalibro).
Potete trovare la trama dettagliata, la storia del 'caso letterario' e qualche frase di stampa sul sito del Libraio.

Molto in breve: a fine estate, in Costa Blanca (Spagna) si intrecciano la vita di Sandra, giovane donna incinta e indecisa su cosa fare della propria vita; quella di un'amabile coppia di vecchietti che nascondo vari segreti, tra cui quello di essere criminali nazisti; e quella di Julián, sopravvissuto a Mauthausen e deciso a ottenere vendetta.
La lettura delle prime 100 pagine per me è stata davvero troppo lenta, mi aspettavo un intreccio magari un po' scontato ma avvincente e invece mi sono trovata lunghe descrizioni e personaggi un po' scialbi. Ero sul punto di lasciar perdere - perché va bene essere curiosi e voler provare a leggere i titoli in classifica, ma c'è un limite... - ma mi sono sforzata di proseguire. E devo ammettere che, passata pagina 100 più o meno, il ritmo si fa decisamente più serrato. Anche i personaggi acquistano un po' di spessore, diventano un poco più veri (anche se non riescono mai a risultare del tutto credibili: costretti come sono a interpretare un ruolo nella trama restano sempre un po' troppo finti). C'è un minimo di azione e un po' di suspense, che non guastano, mentre tutto veleggia verso un rassicurante lieto fine.

Il profumo delle foglie di limone è un romanzo che si lascia leggere (soprattutto da un certo punto in poi), che dosa discretamente gli ingredienti necessari per un bestseller ma che, proprio per questo credo, lascia in bocca un sapore di finto, di ricetta seguita troppo alla lettera.
Sandra, la protagonista, è forse il personaggio meno riuscito: totalmente schiava della sua funzione nella trama, capace di innamorarsi in mezza riga e poi oscillare tra lo stato di pesce lesso e quello di eroina intrepida...
La cricca nazista e Julián non vengono mai descritti davvero: se nel primo caso è più che legittimo, per come è il romanzo, non scendere mai nella psiche di questi personaggi, nel secondo invece un tentativo di introspezione c'è ma con effetti decisamente deludenti e a tratti stucchevoli.

Le riflessioni sul male e su come il male creda di fare il bene, e si metta quindi addosso una maschera, sono espresse sempre in modo piuttosto banale. Per fortuna sono per lo più riflessioni di Sandra, e questo le rende credibili all'interno del romanzo, anche se vi è dedicato davvero poco spazio. Ma sicuramente non è di questo che voleva parlare Clara Sánchez.

Ricetta: Risino gigante (ovvero: Torta di riso)

Il riso nelle ricette dolci non mi ha mai fatto impazzire, ma in Veneto (e forse anche in altre zone d'Italia, non so) è una tradizione molto radicata. Nei bar di Padova, oltre alle brioches, si trovano sempre le paste al riso, dette 'risini', e al semolino. Così, un po' per nostalgia un po' per amore, ogni tanto preparo il Risino Gigante che, devo ammettere, ha il suo perché.

INGREDIENTI
(per una tortiera di 22 cm di diametro)
Pasta:
130 gr farina
50 gr zucchero
50 gr burro
1 uovo
un po' di scorza di limone
un pizzico di sale

Crema:
300 ml di latte
70 gr di riso (l'ideale è quello per minestre, ma io uso quello che ho in casa!)
25 gr di burro
90 gr di zucchero
2 uova
un po' di scorza di limone
un pizzico di cannella

Preparare la crema: fate sciogliere in un pentolino il burro, quindi aggiungete il riso, il latte, lo zucchero, la cannella e le scorzette di limone. Fate sobbollire per circa 30 minuti, mescolando di tanto in tanto. Il fuoco va spento quando la crema comincia a rapprendersi e assume la consistenza di un risotto piuttosto cremoso. Lasciate raffreddare.
Nel frattempo preparate la pasta impastando insieme tutti gli ingredienti e foderate una tortiera: la pasta deve essere abbastanza sottile e con i bordi alti. Per queste dosi, la tortiera da 22 cm di diametro è perfetta, se ne usate una più grande aumentatele, altrimenti la pasta sarà troppo sottile.
Quando la crema di riso è fredda, unitevi i tuorli e le chiare montate a neve ferma. Versate il tutto sulla pasta e infornate a 175° per 45 minuti (forno ventilato, altrimenti 180° per un'oretta). Dopo 20 minuti di cottura coprite la torta (io vi appoggio sopra un'altra teglia).

Il tempo di preparazione + tempo di cottura è di circa un'ora e mezza.



11.2.11

Recensione: Qualunquemente

Ho trovato Qualunquemente terribilmente poco movimentato. L'impressione è che Cetto La Qualunque sia perfetto per gli sketch, ma non adatto a un film intero. Almeno, non adatto a un film intero che si regge unicamente su di lui, visto che gli altri personaggi al confronto sono solo macchiette marginali. Battute da piangere dal ridere ce ne sono pochissime (e proprio a cercarle), ma non si può nemmeno dire che il film faccia riflettere o che sia in qualche modo una critica all'attuale stato di cose. È un susseguirsi di luoghi comuni, peraltro quasi tutti veri, così prevedibili che il film non riesce ad andare al di là di una specie di enorme caricatura. E anche vedere che Cetto non solo la fa sempre franca, ma che addirittura il suo successo supera le sue previsioni, lascia lo spettatore indifferente, senza riuscire né a farlo ridere, né a farlo indignare, né, tantomeno, a provocare quel mix delle due cose, quel riso amaro che è - secondo me - il segno di un film ben riuscito.
Albanese è bravo, ma il film è assolutamente trascurabile.

9.2.11

Pollo Korma (piatto indiano)

Ieri sera, complice anche una scodella di hummus preparata da mio zio, avevo voglio di preparare qualcosa di diverso dal solito, di spaziare in cucine che non fossero quella italiana. Anche se l'hummus non c'entra con l'India, ho deciso di cimentarmi nel pollo Korma. Sono partita dalla ricetta trovata qui, ma l'ho un po' rivisitata... Ecco cosa serve:

INGREDIENTI (per 4)
1 petto di pollo (piuttosto grosso) fatto a bocconcini
2 cipolle (io ho usato quelle rosse)
1 spicchio d'aglio
4 pomodori
400 gr di yogurt (io ho usato quello greco, ma va benissimo lo yogurt bianco)
una manciata di mandorle spellate
sale
Spezie:
1 peperoncino
1/2 cucchiaino (o anche meno o anche niente, dipende da quanto vi piace il piccante) di chili
6 chiodi di garofano
8 grani di pepe
1/2 cucchiaino di cannella
2 chicchi di cardamomo
1 cucchiaio di curcuma
1 pizzico di zafferano

Fate soffriggere in una padella capace (io ne ho usata una in terracotta) un po' di olio i chiodi di garofano, i chicchi di cardamomo, il pepe, il peperoncino, l'aglio (io ne ho fatto a fettine sottili mezzo spicchio, il resto l'ho messo interno per toglierlo a fine cottura), le cipolle affettate sottili. Dopo 5 minuti aggiungere i bocconcini di pollo, spolverizzarli con la cannella e il chili e lasciarli rosolare.
Nel frattempo mescolare lo yogurt con la curcuma e lo zafferano, quindi versare il composto nella pentola insieme ai pomodori. Coprire con un coperchio e lasciar cuocere per circa un'ora a fuoco medio. (Ogni tanto controllate e, se vi sembra troppo liquido, togliete il coperchio e alzate un po' fiamma).
Passata un'ora, aggiungete le mandorle, fate cuocere ancora una decina di minuti quindi servite.
L'ideale è accompagnarlo con del riso basmati.

7.2.11

Recensione: L'evoluzione di Calpurnia

L'evoluzione di Calpurnia, romanzo di esordio di Jacqueline Kelly, uscito negli USA nel 2009, ha il brio, la leggerezza, la profondità di certi classici moderni per ragazzi - è stato paragonato a Pippi Calzelunghe -. È un romanzo avvincente, spiritoso, ribelle.

Calpurnia vive in una grande fattoria in Texas, insieme ai suoi 7 fratelli, ai loro genitori, al nonno, alla cuoca e una domestica. Calpurnia è ribelle come può essere ribelle una dodicenne texana nel 1899, una ragazzina che scopre che la sua passione è la scienza, e che vorrebbe evitare le lezioni di pianoforte, ricamo e maglia per esplorare la natura, prendendo nota di tutto sul suo taccuino. Perché Calpurnia è così: si chiede per quale ragione i cani abbiano le sopracciglia, da dove vengono le cavallette gialle e lente che, nell'arida estate, hanno preso il posto di quelle verdi scattanti, perché i suoi fratelli più piccoli non capiscono il concetto di tempo che è invece chiarissimo all'opossum che ogni mattina alle cinque scende lungo il muro... Suo inaspettato alleato si rivela il nonno e, grazie a lui e ai suoi insegnamenti, Calpurnia nutre questa vocazione e, insieme a lui, scopre una pianta che sembra diversa da ogni altra pianta conosciuta...

L'atmosfera della fattoria (i giochi con i fratelli, le invidie, i primi amori, le cocenti delusioni dei bambini - quelle così grandi che sembra niente mai le potrà consolare -), i passatempi dei ricchi proprietari terrieri alla svolta del secolo, tutto quello insomma che fa parte della vita di una qualsiasi dodicenne del suo ceto, si mescola in Calpurnia al desiderio di imparare e di vivere sulla sua pelle ogni esperienza (tranne toccare un bruco peloso dall'aria molto urticante!).
Proverà a zappare il cotone con la zappa corta - sotto gli occhi inorriditi della cuoca -, avrà il coraggio di allevare il bruco peloso di cui sopra per vederlo trasformare poi in farfalla (più o meno) e toccherà la disperazione di essere una femmina e, come tale, destinata a diventare la regina delle scienze domestiche, non delle scienze e basta come vorrebbe lei. Non ci è dato sapere cosa farà Calpurnia da grande, se vincerà la sua battaglia contro le convenzioni oppure smetterà di combattere: il libro si chiude su Calpurnia naturalista dodicenne. Ma, così facendo, Jacqueline Kelly regala al lettore un'eroina fresca e coraggiosa, che magari non entrerà nell'Olimpo dei personaggi della letteratura per ragazzi (penso a Pippi, a Matilde, al GGG...) ma che è senza dubbio un piacere incontrare.