27.5.11

Centellinando "Cattedrale"

Sono settimane piene di cose da fare, ho un sacco di lavoro (che si aggiunge a un sacco di progetti vari che mi frullano per la testa) e così il blog è un po' abbandonato.
Poi, come annunciato, sto leggendo Carver, Cattedrale, e lo sto centellinando. All'inzio, come mio solito, mi sono buttata sui racconti e ho letto metà raccolta in un pomeriggio. Poi ho iniziato a temere la fine, e ora leggo piano, assaporando di più. Che poi chissà perché i miei scrittori americani preferiti sono tutti degli alcolizzati disperati e geniali. Che poi chissà perché tutti si scaldano su qual è lo stile vero di Carver: in filologia medievale si cerca di ricostruire un testo rispettando l'ultima volontà di un autore. E anche in filologia moderna. Quindi se Carver ha mandato in stampa una cosa, la sua ultima volontà è quella, e io leggo senza farmi troppo domande su chi ha corretto cosa.
A presto con la recensione.

23.5.11

Panini di patate

Trovo questi panini buonissimi, ma li faccio sempre e solo quando devo salvare le patate da morte certa. Ieri era uno di quei giorni...

INGREDIENTI
300 gr di farina 00
15 gr di burro
1 cucchiaino di sale
100 gr di patate lesse (sbucciate e schiacciate)
130 gr di latte
2 cucchiaini di zucchero
1/2 bustina di lievito di birra (o 1/2 panetto)

Lavorate con le mani farina e burro (lasciatelo ammorbidire e fatelo a dadini, prima di aggiungerlo alla farina), quindi aggiungete tutti gli altri ingredienti.
Formate una palla e fate lievitare per un'oretta.
(Se avete la macchina per il pane, mettete tutto insieme e attivate la funzione 'impasto').
Rilavorate appena appena l'impasto, quindi formate i panini e disponeteli su una teglia. Lasciateli riposare una mezz'oretta, quindi infornate in forno già caldo a 220° per 30-40 minuti (dipende da quanto grandi sono i panini che avete fatto: più sono piccoli, meno tempo impiegano a cuocere. Se vi piacciono con la crosta morbida, teneteli d'occhio!)
Io li ho cosparsi di farina, ma sono buonissimi anche 'nudi'!

15.5.11

Penne con crema di cavolo, curcuma e zafferano

Ho letto Le ricette dei magnifici 20 di Marco Bianchi, già autore di I magnifici 20 (entrambi Ponte alle Grazie). Marco è un ricercatore molecolare e appassionato di cucina, e nei suoi libri spiega quali sono gli alimenti che non devono mai mancare sulla nostra tavola, quelli che 'ci fanno bene'.
Rispetto a quella di Marco, la mia cucina è molto più tradizionale. Mi piace cucinare con quello che ho in casa, e è raro che io abbia muscolo di grano, seitan, funghi shiitake o tofu. Ma il libro offre a chiunque spunti e abbinamenti interessanti, e molte ricette sono ricche di spezie, che io amo molto. (A pagina 91 c'è anche Carote e piselli come da Lucky Seven, il self service dello Sri Lanka di via Pasetti a Milano). In più gli abbinamenti proposti, oltre a essere ben bilanciati dal punto di vista nutraceutico, sono assolutamente da copiare! Così mi sono ispirata alla ricetta Cavolfiore e ceci (p.92) per questo sugo con cui ho condito le penne (non avevo scelta: non avevo i ceci!).

INGREDIENTI (per 2)
200 gr di penne
1 cavolo piccolo o 1/2 grande (io ho usato il cavolo verde)
1 spicchio d'aglio
2 cucchiaio d'olio extravergine d'oliva
latte
zafferano
curcuma
pepe
sale

Fate bollire le cimette del cavolo per una decina di minuti - o, se preferite, cuocetele al vapore. Devono diventare tenere.
Mettete su l'acqua per la pasta. Fate saltare in una padella con l'olio e l'aglio le cimette di cavolfiore. Bagnatele con un po' di latte e schiacciatele grossolanamente con una forchetta, quindi aggiungete lo zafferano, la curcuma, sale e pepe. Se il cavolo si secca troppo, aggiungete altro latte: dovete ottenere una crema consistente.
Quando l'acqua bolle, buttate la pasta e, una volta scolate le penne, fatele saltare in padella con la crema di cavolo, curcuma e zafferano.

14.5.11

Riflessioni in libertà - in partenza per il Salone del libro

In questo maggio sono scontenta. Sono scontenta di un diffuso modo di pensare e di vedere in cui non mi riconosco. Non sto parlando in generale, sto parlando delle logiche di mercato che regolano l’editoria. Sarà che a me i libri continua a piacere prima di tutto leggerli, sarà che sono inspiegabilmente romantica, ma nelle varie occasioni in cui mi sono confrontata direttamente o ho assorbito per osmosi, diciamo così, la posizione di qualche pezzo grosso dell’editoria milanese, mi è venuta la pelle d’oca. Ovvio che una casa editrice è un’azienda che, come tutte le aziende, punta al fatturato. E che sia il più alto possible. Ma produce e vende libri. Ovvero prodotti in cui la cosa più importante, quella che fa davvero la differenza, non si vede a colpo d’occhio, ma solo leggendo.

Che gli ebook siano considerati dai grandi editori come un rischio, un mercato in cui essere presenti ma cercando di rallentarne il più possible la diffusione, è una cosa che continua a sembrarmi miope, ma che capisco. Il timore è la certezza che, alla fine, “il prezzo di copertina degli ebook sarà sempre troppo basso”. Troppo basso rispetto ai desideri degli editori - e se no, rispetto a cosa?

Quello che però più mi amareggia è che la vera ricchezza di una casa editrice, il catalogo, sia passato in secondo piano rispetto alla logica del best seller, che è già tale prima ancora dell’arrivo in libreria grazie a una strategia marketing ben costruita. Poco importa se si spaccia un femminile per un thriller, un romanzo per ragazzi (nemmeno dei migliori) per il nuovo fenomeno della letteratura mondiale, quello che riporterà in auge le sorti del crossover prima che si spenga il fumo di Harry Potter, o se si sfornano romanzi fotocopia l’uno dell’altro. Il lettore, rassicurato, acquista e ringrazia.

Allora forse quello che mi amareggia non è la logica di mercato, è il consumatore. È il lettore. Che si riempie la casa di libri in classifica. Che ama i tomazzi con copertina rigida e sovraccoperta. Che chiede al libro qualche ora di evasione dalla realtà, ma senza che questo richieda l’attivazione del cervello.

Non che non vengano più pubblicati bei libri, negli ultimi anni ne ho letti di indimenticabili, di quelli che dovrebbero diventare dei classici, quanto meno nel catalogo dell’editore. E ne ho visto mandare al macero in meno di 24 mesi almeno un terzo della tiratura.

Il lettore non è un consumatore diffuso, e proprio per questo, secondo me, andrebbe corteggiato. Ma raramente è un consumatore attento. I lettori forti, infatti, sanno trovare i libri che vogliono, non hanno bisogno d’aiuto, e inspiegabilmente non si scoraggiano di fronte a prezzi di copertina troppo alti. Gli altri, i lettori occasionali, o quelli che i libri li regalano, si accontentano e non fanno storie. Se poi il libro è davvero molto brutto, così brutto che se ne accorge anche il più ingenuo dei lettori, pazienza, a tutti capita di imbattersi in un libro che proprio non ci piace. Ma ce ne dimentichiamo. Non siamo fidelizzati alla casa editrice, alla sua promozione, e nemmeno all’autore. Io amo Coe, ma ricordo La pioggia prima che cada come uno dei libri che mi sono piaciuti meno degli ultimi anni. Pazienza, non per questo non leggerò più Coe. O non leggerò più Feltrinelli.

Chissà se un giorno il lettore riuscirà a essere importante, a far sentire la sua voce, a essere tenuto in considerazione non come numero. E chissà se mai la lettura, su carta o su dispositivo, sarà uno dei passatempi preferiti dagli italiani. Credo ci sia ancora un sacco di strada.

Ora esco e vado a prendere il treno per il 24° Salone del Libro.

10.5.11

Io e Raymond Carver. Everything Must Go

Devo ringraziare Re Ratto (anche) perché sul suo blog ho appena scoperto il film che voglio vedere. E non sto usando l'articolo a caso: è proprio 'il' film, non 'un' film. (Qui il post originale).


Non credo di poter aspettare, è il momento giusto. Perché ieri è stata una giornata surreale. E soprattutto perché ieri sera ho capito che era il momento di tornare a Carver. I segni sono propizi, insomma!

Il mio primissimo incontro con Carver è stato in una puntata di Totem, il programma su Rai2 (rendiamoci conto: negli anni 90. Su Rai2) di e con Baricco e Vacis. Be', in una puntata parlavano di Cattedrale. Due miei amici erano subito corsi a prendere il libro e ci si erano tuffati. Io no, mi è solo rimasta impressa - la ricordo ancora - la lettura che ha fatto Baricco, che all'epoca mi piaceva molto di più di oggi.

Carver l'ho rincontrato a Parigi, molto tempo dopo. Dalla mia storia-di-sette-giorni con uno decisamente più vecchio di me ho guadagnato una felpa blu con la luna, un libro di Carver (Se hai bisogno, chiama, minimum fax) e la visione di America oggi di Altman. (Io dico che è un bilancio più che positivo, per una storia).
Ho letto il libro, ma quasi non ricordo nulla, sono passati anni e io non ricordo mai più di tanto i libri che divoro.

Ma nel frattempo, Carver è tornato. Di nuovo Baricco, in un articolo su Repubblica (L'uomo che riscriveva Carver, 27 aprile 1999 ) si interrogava sul mestiere di editor, sul rapporto tra un editor e il suo autore. Nella fattispecie, sul rapporto tra Lish e Carver. L'articolo io devo averlo letto molti anni dopo la sua pubblicazione, scovandolo per caso in rete quando cominciavo a interessarmi di editoria e muovevo i primi passi in questo magico mondo. (Detto così, di volata: se un autore accetta i consigli del suo editor, e il libro esce con il suo nome sopra, non è forse questa l'ultima volontà dell'autore? E chi passa alla storia, l'autore o l'editor? Quindi basta dire che gli editor sono antipatici, per favore. Spesso lo sono, ma non perché mettono le mani sui testi: quello lo fanno in genere per migliorarli, e se un autore è totalmente privo di umiltà e lo vive come una violenza il problema è un altro).

E poi Carver è entrato nel mio nido, i suoi libri sono comparsi sugli scaffali e sono stati letti e amati dall'uomo che amo io. Ci dev'essere una proprietà transitiva della lettura, che va ben oltre quello che scriveva Pennac in Come un romanzo:

Amare vuol dire far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo. E queste preferenze condivise popolano l’invisibile cittadella della nostra libertà. Noi siamo abitati da libri e da amici.

Quando un autore ti segue con così tanta dedizione per tutti questi anni, il minimo che puoi fare è, quando arriva il momento, mettere da parte tutti gli altri libri e libretti che stai leggendo e leggiucchiando e fargli spazio. Se l'è meritato per la pazienza, e a quel punto sai che non solo non ti deluderà, ma è esattamente quello che vuoi leggere.

4.5.11

Recensione: "Guida galattica per gli autostoppisti" di D. Adams

«Io sono un tipo che pensa a ruota libera. Mi viene l'idea di fare una cosa e mi dico, be', perché no? E la faccio. Mi viene in mente di diventare presidente della Galassia, e lo divento subito, facilmente. Decido di rubare questa nave, e lo faccio. Decido di cercare Magrathea, e lo faccio. Sì, calcolo sempre il modo migliore per riuscire a ottenere quello che mi propongo, ma riesco immancabilmente ad avere successo. È come avere una carta di credito galattica che continua a essere valida anche se non firmi mai gli assegni. Poi, tutte le volte che mi fermo a pensare al perché ho fatto una cosa, al come sono riuscito a escogitare il modo di farla, mi viene soltanto il terribile desiderio di smettere di pensarci».
(D. Adams, Guida galattica per gli autostoppisti, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, 1999, p. 144)

Ecco, con un passaggio così questo libro non poteva che piacermi. Ho amato molto, devo dire, anche l'hooloovoo, una sfumatura super-intelligente del colore azzurro. O le poesie dei vogon (che occupano il terzo posto nell'elenco del peggior tipo di poesie dell'universo). Anche i pesci Babele hanno il loro perché (ed è "così bizzarramente improbabile che una cosa straordinariamente utile come il pesce Babele si sia evoluta per puro caso, che alcuni pensatori sono arrivati a vedere in ciò la prova finale e lampante della non-esistenza di Dio") . Poi c'è la Propulsione d'Improbabilità Infinita, che francamente non mi è ancora chiaro come funziona nonostante sia stata inventata da uno studente che spazzava un laboratorio dopo una festa particolarmente mal riuscita. C'è Marvin, un robot depresso con un ruolo secondario ma neanche tanto. L'astronave Cuore d'oro. La Terra, distrutta. E la risposta alla "grande domanda sulla vita, sull'universo e su tutto!"

La Guida è un romanzo demenziale, nel senso migliore del termine. Sconclusionato (aiuta il fatto che il libro nasca dalla trascrizione di racconti mandati in onda via radio dalla BBC: ogni tanto la narrazione è un po' disomogenea), forse anche un po' datato (è stato scritto nel 1979), ma straripante di humour (british, ma non solo). Io ho trovato alcuni brani così divertenti e brillanti da sentire il bisogno di condividerli con chiunque fosse vicino a me, leggendoglieli ad alta voce. Però capisco che possa deludere chi cerca un romanzo divertente, scaccia pensieri e ricco di suspence ("lo stress e la tensione nervosa sono oggi seri problemi sociali in tutte le parti della Galassia, ed è perché questa situazione non s'inasprisca che i fatti successivi verranno rilevati in anticipo"), così come chi cerca un romanzo di fantascienza. Sì, è vero, si bighellona tra pianeti su un'astronave. Sì, è vero, ci sono trovate esilaranti. Ma questo non è un libro per tutti: penso sia facile abbandonarlo in fretta, anche un po' infastiditi. Ma se per caso è il libro per voi, o lo leggete nel momento giusto (come è successo a me), vi regalerà grandi soddisfazioni e grasse risate.
E dopo un libro così non guarderete più i topi con gli stessi occhi.