28.2.11
Ricetta: Biscotti speziati
27.2.11
Ebook - 2. La promozione
Dicevo che l’editoria sta cominciando a invecchiare. Certo, è un’impressione molto personale, determinata probabilmente da quello che mi aspetto succeda nei prossimi anni e dalla conoscenza che ho dello stato attuale dell'editoria libraria italiana e della promozione del libro. Promozione che si rivolge in larga parte al libraio. E non potrebbe che essere così: il primo cliente delle case editrici, generalmente, è il libraio. Convincerlo della bontà di una pubblicazione (che spesso vuol dire: convincerlo della bontà dell’ingente campagna marketing che si ha intenzione di attuare) significa assicurarsi ordini di tutto rispetto, ovvero le tanto agognate pile di volumi, che si traducono in notevole visibilità sul punto vendita. (Questa cosa della visibilità in libreria fino a poco tempo fa mi faceva pensare che, di fondo, gli editori considerino i lettori degli sprovveduti, qualcuno che entra in libreria in cerca o di un libro da regalare o dell’ultimo bestseller alla moda, qualcuno che quindi si lascia incantare dal banco Novità. Ultimamente però mi sono resa conto che non è esattamente così: se in libreria entra un lettore forte, punterà sicuramente a qualche libro in particolare ma probabilmente darà un’occhiata anche ai nuovi arrivi. Se in libreria entra un “devo fare un regalo” si fermerà quasi sicuramente davanti alla pila più alta di hardcover).
La notevole visibilità in genere paga, e non importa se si è investito in un romanzo poco più che mediocre: se ha gli ingredienti giusti, il palato dei lettori sarà soddisfatto. In ogni caso, l’importante è che il fenomeno duri a sufficienza, che il titolo magari arrivi in classifica o comunque si riescano a fare un paio di ristampe, e poi fine.
Il lettore insoddisfatto non se la prende mai con la casa editrice anzi, a volte non ricorda nemmeno la casa editrice che ha pubblicato quel dato libro che l’ha deluso. Se proprio, sono gli autori a fidelizzare il lettore, non le case editrici. Ed è giusto che sia così: io leggo un dato autore, non un dato editore.
Insomma, se il libro su cui l’editore decide di investire funziona, sono tutti contenti: editori e librai in primis, perché il ruolo del lettore è quello dell’acquirente finale, non dell’interlocutore principale. Questo ruolo, in questo meccanismo brevissimamente descritto, è quello del libraio. E non c’è niente di male. Solo che da un po’ mi pare che le cose stiano cambiando. Da prima che si cominciasse a parlare assiduamente di ebook, ma la loro crescita non può che accelerare il processo.
Giusto per non usare espressioni idiomatiche, con l’avvento del web 2.0 l’opinione pubblica ha scoperto un nuovo canale di comunicazione e le aziende, almeno alcune, hanno imparato a sondare i loro clienti, a conoscerli, a sospettare che giudizi negativi in rete avrebbero avuto molta più risonanza rispetto a giudizio negativi espressi in canali più tradizionali… Quanti editori in questi anni hanno imparato ad ascoltare di più i loro lettori? Lettori che nel frattempo recensiscono e discutono un po’ dappertutto. Ora, scrivere qualche recensione su aNobii non fa di nessuno una voce particolarmente autorevole, però forse vale la pena vedere i commenti che i propri libri ricevono, e che spesso – per fortuna – vanno oltre il “Mi è piaciuto” “Non mi è piaciuto” ma argomentano, toccando punti diversi e interessanti che vanno dal livello della traduzione ai refusi, dagli errori di logica lasciati nel testo ai giudizi sulla copertina.
Generalmente le case editrici non rispondono personalmente agli aspiranti autori – e questo lo posso capire. Ma spesso non rispondono nemmeno ai lettori: non cercano il confronto e il contatto diretto, sembrano dimenticare che è grazie al lettore che vivono, che il lettore è, a tutti gli effetti, il loro cliente finale. Ora mi chiedo, con la progressiva diffusione degli ebook, non sarebbe il caso di cambiare atteggiamento? Certo, le case editrici continueranno a non fidelizzare il lettore, compito che resterà dell’autore, ma al di là delle varie piattaforme di distribuzione online degli ebook, il rapporto editore/lettore sarà diretto. E allora, come si evolverà il marketing editoriale? Forse uno scambio più stretto tra chi i libri li pubblica e chi i libri li legge potrebbe tradursi in un efficace strumento di promozione. Più efficace di un cartello sagomato in una libreria. E anche di qualche recensione autorevole e ben piazzata.
24.2.11
Ebook - 1. La forma
La storia del libro mi è sempre sembrata affascinante. Alla sua forma e ai cambiamenti subiti nei secoli, i testi di introduzione alla filologia italiana in cui mi sono imbattuta* non dedicano più di un paio di brevi capitoli: una sintetica carrellata al passaggio dal manoscritto al libro stampato. In un contesto filologico, non è la forma quello che interessa ma il testo e il modo di tramandarlo. Perché il supporto è solo uno strumento.
Dai sottili strati di corteccia usati come supporto allo scrivere (ricordati da Plinio il Vecchio) ai rotoli di papiro, dalle tavolette cerate ai codici di pergamena: i ‘protolibri’ (in Europa) si scrivevano a mano. Al massimo, ma siamo già nel Medioevo, si stampava con blocchi di legno (tipo timbro, per intenderci), per lo più carte da gioco e materiali poveri.
L’invenzione, a metà Quattrocento, della stampa a caratteri mobili consacra il libro come lo conosciamo noi: si comincia a parlare di tirature, esistono copie di libri identiche mentre prima, anche se i manoscritti avevano già la forma del libro moderno, ognuno faceva per sé perché ognuno aveva degli errori peculiari: fino ad allora, i libri erano scritti a mano, pazientemente copiati e ricopiati. Ed erano costosi.
Cos’è successo ai manoscritti quando è comparso il libro a stampa? All’inizio niente, il libro a stampa si è affiancato al manoscritto, anzi, non erano infrequenti casi di manoscritti copiati da stampe – probabilmente perché la stampa, più democratica, faceva storcere il naso agli snob dell’epoca tipo Federico da Montefeltro (almeno, così racconta Vespasiano da Bisticci).
Ma il futuro, a quel punto, era già scritto. Certo, non mancano casi limite (Anatole France che copia i suoi libri a mano per una ristretta cerchia di amici), ma l’invenzione di Gutenberg ha segnato la storia del libro. Non è stata una rivoluzione immediata, ma è stata una rivoluzione a tutti gli effetti. Una rivoluzione che ha permesso di diffondere i libri, di pubblicare anche cose meno ‘alte’ (la Bibbia e i testi sacri andavano per la maggiore). Anche con le nuove tecniche sviluppate dal XVIII e XIX secolo, e con gli strumenti moderni, il libro è rimasto quello che conosciamo. Da Gutenberg a noi ci sono più o meno per 5 secoli. Ma i codici manoscritti avevano già la forma, e la praticità, del libro stampato, per cui possiamo dire che la forma che hanno i libri che troviamo oggi in libreria ha circa 22 secoli (col diffondersi della pergamena, pare si sia passati, già nel II secolo a. C., ad Alessandria, al libro nel senso moderno della parola).
22 secoli. 22 secoli di pagine rilegate, scritte o stampate. (22 secoli di editoria: allora faccio quasi il mestiere più vecchio del mondo!)
E adesso, dopo questa piccola eternità, l’editoria sta cominciando a invecchiare. O almeno, la forma. La sostanza dovrebbe restare la stessa: che si legga su una tavoletta di cera incisa, su un libro, su un tablet, su un ereader, si sta sempre leggendo un libro... Ma, come si dice, a volte bisogna mutare la forma per rinnovare la sostanza. Direi che è ormai in corso, finalmente, una nuova rivoluzione. E dopo questa carrellata storica, direi che è ora di parlare di oggi...
* In particolare A. Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana, Il Mulino, Bologna, 1994
21.2.11
Recensione: Quando il diavolo ti accarezza
Ecco una piccola recensione in anteprima (il libro sarà in libreria da giovedì 24 febbraio).
Primo romanzo di Luca Tarenzi pubblicato da Salani (altri titoli sono già usciti per Alacran), Quando il diavolo ti accarezza prende il titolo da un modo di dire: quando il diavolo ti accarezza, vuole l’anima.
In copertina, oltre allo strillo “Cosa succede se il diavolo si innamora?”, c’è una frase di Francesco Dimitri: “Questo libro è una maledizione: leggete le prime due pagine, e non potrete più farne a meno finché non arrivate all’ultima. Siete avvisati”. Be’, è la verità. Almeno se amate i romanzi young adult, angeli e demoni e compagnia bella.
Ma ora basta parlare di copertina, apriamo il libro. Ci troviamo in mezzo a una lotta tra angeli e demoni, ambientata in una Milano notturna e nascosta, dove la vita ‘altra’ scorre parallela alla vita illuminata dal giorno e dalla luce artificiale.
Lena, la protagonista, si trova invischiata in cose molto ma molto più grandi di lei per l’amicizia che porta a Sofia. Proprio inseguendo l’amica sonnambula-in-trance finisce con l’imbattersi in un (bellissimo) demone appena evocato, salvarlo da un angelo e portarselo a casa. Sì, perché in questo libro ovviamente si tifa per i demoni. E sì, ovviamente Lena si innamora subito del suo (come darle torto? Oltre a essere bellissimo, è antico più del mondo, complesso e potente, sanguinario e misterioso ed è stato evocato per uccidere proprio Sofia!).
I confini tra i buoni e i cattivi sono ben sfumati, anzi, difficile dire tra umani, angeli e demoni chi appartenga all’una o all’altra categoria. Direi che tutte le creature non umane sono terribilmente attratte dall’umanità, e questo le arricchisce. C’è un Azazel inaspettatamente altruista – a volte seguire i propri interessi e la propria curiosità rischia di far passare per altruisti. C’è il nostro bellissimo demone evocato, Arioch, incredibilmente tormentato dai morsi dell’amore (ma la scrittura di Tarenzi non si fa banale nemmeno quando scrive di cose che in odore di banalità lo sono). Ma ci sono – e qui secondo me è resa al meglio la complessità del conflitto bene/male – angeli che agiscono da angeli caduti per fare il bene contro le leggi divine e che sono straziati dal loro stesso comportamento.
La storia è complessa, avvincente, ben costruita e, soprattutto, ben gestita dall’autore che segue i vari personaggi dedicando a ciascuno il giusto spazio. Tutti poi, non solo i protagonisti, hanno uno spessore che li rende vivi nelle loro peculiarità (tranne forse Cesare, ex ragazzo cocainomane di Lena, che è un conglomerato di luoghi comuni ma che non avrebbe potuto che essere così).
Per chi conosce Milano, è piacevole seguire i personaggi nei meandri sconosciuti delle vie familiari. Per chi non la conosce, è una città che si presta a essere teatro di scontri e battaglie. E questo mi porta a un altro merito di Tarenzi, la resa dei duelli: non è facile descriverli, ma lui lo fa, e bene.
Diciamo che se avete passato l’adolescenza da un pezzo e non avete voglia di farvi ancora un giro di giostra, questo romanzo non fa per voi. In caso contrario, è una lettura decisamente piacevole, che non lascia alla fine quel fastidioso senso di inutilità che possono avere certi romanzi di questo genere.
(Chiedo scusa per l'immagine della copertina, vedo di rimediarne al più presto una più dignitosa).