3.11.10

Recensione "La trilogia della città di K." di Agota Kristof

La prima volta che ho sentito parlare di questo libro è stato qualche anni fa, a una cena molto rumorosa. Infatti ricordo di avere mentalmente catalogato il libro sotto 'Agatha Christie'. Poco tempo dopo, a un'altra cena, parlando di libri con una nota illustratrice milanese d'adozione, mi ha citato La trilogia della città di K. come romanzo molto crudo. A quel punto ho controllato su google, ho corretto il mio errore e chiuso il caso.
Fino a un paio di settimana fa quando, in cerca di qualcosa di bello - bello davvero - da leggere mi è venuto in mente questo titolo. E quando succede, è chiaro: è il libro che mi chiama perché è arrivato il suo momento.

La trilogia si compone di tre opere, scritte in tempi diversi: Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna. Per la sinossi, qui il link ad aNobii.

Quello che colpisce nella prima parte è il tono da fiaba: è tutto al presente; i fatti, anche i più orribili o assurdi, sono raccontati come verità assolute, senza aggettivi, senza giudizi; i loghi e i personaggi sono emblemi (ne è indizio anche l'uso delle maiuscole), la geografia e il tempo non esistono. E gli eroi, i due gemelli, sono belli e invincibili. Ma solo il tono è da fiaba: i fatti narrati non lo sono per niente. Proprio per questo Il grande quaderno mi ha tenuta incollata alle sue pagine: è una favola cupa che però ha fatto vibrare in me adulta le corde che facevano vibrare le fiabe che ascoltavo bambina.
Credo sia questo il potere del libro, di tutto il libro, anche nelle altre parti: il potere (e il piacere) della narrazione. Con una prosa scarna, e una storia che ci viene raccontata in un modo, poi in un altro, poi distrutta e ricostruita, Agota Kristof mi ha catturata. Mi ha costretto a essere spettatrice avida della storia, incapace però di esprimere giudizi perché né l'autore né i protagonisti lo fanno mai, i giudizi sono solo intuibili nei personaggi secondari, e il lettore, si sa, ha manie di protagonismo.
Un libro che mi ha commosso: sia per il dolore senza parole (e come altrimenti può essere descritto il dolore?) che verso la fine si fa straziante, sia perché leggere un bel libro è già di per sé una cosa commovente - anche se in altro senso.

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