In questo maggio sono scontenta. Sono scontenta di un diffuso modo di pensare e di vedere in cui non mi riconosco. Non sto parlando in generale, sto parlando delle logiche di mercato che regolano l’editoria. Sarà che a me i libri continua a piacere prima di tutto leggerli, sarà che sono inspiegabilmente romantica, ma nelle varie occasioni in cui mi sono confrontata direttamente o ho assorbito per osmosi, diciamo così, la posizione di qualche pezzo grosso dell’editoria milanese, mi è venuta la pelle d’oca. Ovvio che una casa editrice è un’azienda che, come tutte le aziende, punta al fatturato. E che sia il più alto possible. Ma produce e vende libri. Ovvero prodotti in cui la cosa più importante, quella che fa davvero la differenza, non si vede a colpo d’occhio, ma solo
leggendo.
Che gli ebook siano considerati dai grandi editori come un rischio, un mercato in cui essere presenti ma cercando di rallentarne il più possible la diffusione, è una cosa che continua a sembrarmi miope, ma che capisco. Il timore è la certezza che, alla fine, “il prezzo di copertina degli ebook sarà sempre troppo basso”. Troppo basso rispetto ai desideri degli editori - e se no, rispetto a cosa?
Quello che però più mi amareggia è che la vera ricchezza di una casa editrice, il catalogo, sia passato in secondo piano rispetto alla logica del best seller, che è già tale prima ancora dell’arrivo in libreria grazie a una strategia marketing ben costruita. Poco importa se si spaccia un femminile per un thriller, un romanzo per ragazzi (nemmeno dei migliori) per il nuovo fenomeno della letteratura mondiale, quello che riporterà in auge le sorti del crossover prima che si spenga il fumo di Harry Potter, o se si sfornano romanzi fotocopia l’uno dell’altro. Il lettore, rassicurato, acquista e ringrazia.
Allora forse quello che mi amareggia non è la logica di mercato, è il consumatore. È il lettore. Che si riempie la casa di libri in classifica. Che ama i tomazzi con copertina rigida e sovraccoperta. Che chiede al libro qualche ora di evasione dalla realtà, ma senza che questo richieda l’attivazione del cervello.
Non che non vengano più pubblicati bei libri, negli ultimi anni ne ho letti di indimenticabili, di quelli che dovrebbero diventare dei classici, quanto meno nel catalogo dell’editore. E ne ho visto mandare al macero in meno di 24 mesi almeno un terzo della tiratura.
Il lettore non è un consumatore diffuso, e proprio per questo, secondo me, andrebbe corteggiato. Ma raramente è un consumatore attento. I lettori forti, infatti, sanno trovare i libri che vogliono, non hanno bisogno d’aiuto, e inspiegabilmente non si scoraggiano di fronte a prezzi di copertina troppo alti. Gli altri, i lettori occasionali, o quelli che i libri li regalano, si accontentano e non fanno storie. Se poi il libro è davvero molto brutto, così brutto che se ne accorge anche il più ingenuo dei lettori, pazienza, a tutti capita di imbattersi in un libro che proprio non ci piace. Ma ce ne dimentichiamo. Non siamo fidelizzati alla casa editrice, alla sua promozione, e nemmeno all’autore. Io amo Coe, ma ricordo
La pioggia prima che cada come uno dei libri che mi sono piaciuti meno degli ultimi anni. Pazienza, non per questo non leggerò più Coe. O non leggerò più Feltrinelli.
Chissà se un giorno il lettore riuscirà a essere importante, a far sentire la sua voce, a essere tenuto in considerazione non come numero. E chissà se mai la lettura, su carta o su dispositivo, sarà uno dei passatempi preferiti dagli italiani. Credo ci sia ancora un sacco di strada.
Ora esco e vado a prendere il treno per il 24° Salone del Libro.