Lo ammetto senza troppi problemi: sulla lingua italiana, la mia posizione è classicista. Va bene che le lingue sono vive e si evolvono, ma tutto sommato a me piace mantenere la forma corretta fino all'ultimo, anche quando la forma 'scorretta' si è ormai affermata. Quand'ero più piccola ero incapace di scendere a compromessi (e per questo mi sono ostinata a scrivere provincie fino alla fine del liceo, mostrando già quello snobismo linguistico di cui anche questo post è prova), però crescendo mi sono addolcita: mi sembra normale che la lingua si evolva verso la semplificazione, per cui se la regola del -cia dice che consonante+cia al plurale perde la i, provincia avrà anche un'etimologia tale per cui la i dovrebbe restare pure al plurale, ma si può tranquillamente farne a meno. Se no non se ne esce più!
(Con questa vocazione linguisticamente così bacchettona, temo fosse scritto che sarei finita nel magico mondo dell'editoria, anche se non in una redazione).
Dicevo della i, e non a caso, perché quand'ero piccola avevo un sacco di dubbi proprio su questa lettera e sulla sua presenza: ci sono troppe parole in cui c'è ma è come se non ci fosse, e mi è sempre sembrato non ci fosse logica. Perché sufficienza e scienza ce l'hanno, e adolescenza no? Va bene l'etimologia, ma si finisce nel regno dell'eccezione e per uno che impara l'italiano è un inferno.
Quando mi hanno insegnato la regola del -cia e -gia (al plurale la i resta solo se -cia o -gia sono preceduti da una vocale, per cui si ha valigia, valigie ma goccia, gocce), metà dei miei dubbi se ne sono andati. E con l'abitudine un'altra buona percentuale - a furia di scrivere, certe parole diventano automatiche, come se la mano conoscesse l'ortografia più della testa.
Qualche dubbio mi era rimasto sui verbi.
Al liceo, io e una mia compagna eravamo stupite che la maestra del fratello di un nostro amico insistesse su sogniamo e insegniamo, per fare entrare nella testa dei suoi alunni la forma corretta. Gn, come sc, è un suono ingannatore: sentiamo la i, ma non sempre va scritta. Ricordo che ne parlai a mio padre, e la sua risposta mi fulminò: "Non puoi mai perdere la -i nella prima persona plurale dell'indicativo presente, la desinenza è -iamo." Semplice, diretto, sicuro. Avevo risolto un'altra buona percentuale di dubbi sulla i.
Ma poi è arrivato "consegnamo". L'ho visto prima sui pacchi dei rotoli per asciugarsi le mani in ufficio: "Consegnamo igiene" (le i di igiene però ci sono tutte). Poi l'ho visto sui baracchini che vendono fiori: quelli che fanno consegne a domicilio in genere hanno stampato, direttamente sulla tendina verde che sovrasta il baracchino, "Consegnamo piante". Peggio ancora: in una riunione mi è capitato di veder presentato un libro dal titolo Disegnamo con i gessetti - quando ho segnalato che c'era un errore nel titolo, è stato cambiato: non si è ripristinata la forma corretta, disegniamo, perché con la i risultava strana e si temeva passasse per un refuso. (No, non sto scherzando).
Ora, io posso tranquillamente scrivere province (anzi, ormai la forma con la i mi suona sbagliata), ma faccio molta fatica a rassegnarmi alla dipartita della i dalla desinenza del verbo. Nella mia top 3 degli errori grammaticali più difficili da vedere, occupa senz'altro il numero 1. (Seguono qual'è invece di qual è - esiste il troncamento, non solo l'elisione - e pò invece di po' - esistono le elisioni, non solo gli accenti -.
So che mi devo rassegnare, le lingue sono vive e si evolvono, e la semplificazione cui tendono passa anche per pò. Però mi illudevo che almeno l'editoria avrebbe difeso più a lungo la forma più corretta, quella per anni ritenuta l'unica. E invece devo ammettere che mi sbagliavo: nei libri ancora ancora ci si salva (immensamente grazie a tutti i correttori di bozze), ma nelle comunicazioni online mi è capitato di vedere già un buon numero di qual'è. Ma pazienza, forse anche l'ortografia in fondo è questione di gusti: è la parola orale che conta, e se una stessa pronuncia ammette grafie diverse si finirà sempre per cadere sulle più semplici. Altrimenti la lingua è morta.
La I che apre l'articolo viene da qui, l'ha fatta More Monger per Lettercult.
La seconda I è stata fatta da Daniel Holter nel 1987.