29.7.11

In attesa che si estinguano le fascette

In editoria si chiamano 'fascette' quelle strisce di carta che avvolgono le copertine dei libri e propongono blurb al lettore.

Io chiamo 'fascette' quelle strisce di carta che generalmente rovinano le immagini di copertina per offrire al lettore validissime ragioni per comprare il libro, tipo frasi di stampa o redazionali, come per esempio:

Il libro che ha conquistato i librai francesi
Come i librai? E i lettori? E quanti saranno i librai in Francia? Qualche migliaio su 65 milioni di abitanti?

Un fenomeno senza precedenti. In uscita contemporanea in tutto il mondo
Si vede che l'autore ha un ottimo agente. Ma basta al lettore per comprare 'al buio'?

Un successo del passaparola (questa è un grande classico)
Allora, se non ne ho mai sentito parlare, sono io un marziano o la frase è un po' pompata? E se invece ne ho sentito parlare, non potevate evitare la fascetta che il passaparola ha già fatto il suo dovere?

Per mesi nella classifica/in cima alla classifica del New York Times
Peccato che a) siamo in Italia; b) non è mai stato il n.1, altrimenti la fascetta lo griderebbe ai quattro venti!

...mila copie già vendute nel mondo
Ok, in quali paesi? Perché se in Italia passare le 20.000 copie è da leccarsi i gomiti, in altri paesi è normale

Terza edizione in una settimana/un mese
Qualcuno ha clamorosamente sbagliato la tiratura, ma perché sbandierarlo?

L'elenco è infinito, e non è detto che con le frasi di stampa le cose vadano meglio. Perché, se la fascetta DEVE esserci, non importa COSA c'è scritto sopra. Sembra quasi più importante il colore (un classico giallo, un audace rosso, uno squillante ciano... e cosa starà meglio con la copertina? Come "cosa starà meglio con la copertina"! Magari la fascetta copre la parte più bella dell'immagine, magari la frase che ci si stampa sopra è banalissima, e il problema è qual è il colore che sta meglio).

Di fondo mi chiedo qual è il lettore che decide di comprare un libro per via della fascetta. Di una fascetta che non dice niente di quello che c'è dentro il libro ma solo di quello che c'è intorno. Intendiamoci, ci sono casi in cui la fascetta è utile al lettore, ma secondo me sono molto pochi. Un conto è avere una bella frase di qualcuno di autorevole (e, soprattutto, in linea con il libro), un altro è volere mettere a tutti i costi quell'orribile pezzo di carta intorno al libro! Non è la presenza della fascetta a far sì che un potenziale lettore compri quel libro piuttosto che un altro. Non lo posso credere. E ce ne sono così tante ormai che non si può nemmeno dire che la fascetta faccia risaltare il libro. Quindi, a cosa serve?

Forse poi non tutti sanno che non esistono macchinari per mettere in automatico le fascette, e così il lavoro viene fatto a mano. A mano! 150.000 fascette! Dovrebbe valerne la pena, no? Perché per scrivere cose come Il libro più atteso del 2011 si può anche fare senza.

E poi le fascette si rovinano, e la fascetta stropicciata invecchia anche il libro. Le belle, agognate pile in libreria (agognate dagli editori) sono la tomba della fascetta, così come per il temutissimo libro a scaffale, perché nello sfregamento tra un volume e l'altro è quasi certo che la fascetta si rovinerà. E allora tanto vale che il libraio la tolga e la butti via. Ma non credo che un libraio abbia molto tempo (e molta voglia) di mettersi a fare anche questo.

In più le fascette sono un costo. Minimo dal punto di vista economico (sì, anche malgrado vengano messe a mano), ma è pur sempre carta buttata.

Una volta acquistato il libro, poi, la fascetta diventa inutile. Anche usarla come segnalibro è scomodo, perché è troppo grossa.

Non riesco a trovare la ragione che spinge così tanti editori a "mettere la facetta", (quasi) sempre e (quasi) comunque. Così, in attesa che per una ragione o per l'altra prima o poi si estinguano, io le fascette le tolgo e le butto via.

10.7.11

Intimisto, ovvero: gli illustratori del mio archivio

Continuiamo con la vena intimista. Era un po' che volevo scrivere delle illustrazioni che, senza un vero calendario, ogni tanto pubblico sul blog. Sono le illustrazioni della mia vita. A titolo diverso, ma sono tutte più che semplicemente 'belle', per me.


Partiamo dall'inizio: Munari. Uno pensa che di tutto quello che si può mettere di Munari, un'illustrazione da Mai contenti forse non rende onore al maestro. Ma quel libro, un proto libro a finestrelle, è passato di mano in mano da mia sorella, a mio fratello e poi a me. Lo adoravo. Volevo che me lo si leggesse infinite volte, non capivo cosa c'era di male a non essere mai contenti ed ero affascinata dalla forma 'circolare' della narrazione: un animale sogna di esserne un altro, questo sogna di esserne un altro ancora e così via, fino all'ultimo, che ovviamente sogna di essere il primo.

Poi c'è Richard Scarry. Ricordo ancora a memoria buona parte delle Storie di Mamma Oca (R. Scarry, Le più belle storie di Mamma Oca, Mondadori, 1986), ma la cosa più bella del libro erano i disegni. Mi perdevo nei dettagli delle illustrazioni, come quella della casa dei conigli dentro lo scarpone, sapevo cosa faceva ognuno dei personaggi raffigurati... Incredibile come, crescendo, l'approccio alle immagini nei libri diventi molto più superficiale. Quando si è bambini si sta ore a studiarle - almeno, io lo facevo!


Poi ci sono Calvin e Hobbes. Per me sono arrivati prima dei Peanuts, mi era più familiare Hobbes di Snoopy. Nelle storie del piccolo mostro disadattato che ha come migliore amico un pupazzo a tigre c'è tanta poesia, e ancor più humour (non mi viene un termine migliore). I pupazzi di neve sono i miei preferiti, ma anche i rutti di Calvin sono indimenticabili!

Lo Studio Ghibli è magico. Quando sono stata a Tokyo sono andata a visitare anche il Museo Ghibli, e ho pensato che, seriamente, da bambina avrei ucciso per essere portata in un posto simile. Ho amato molto Laputa, ma a nessun film di Miyazaki sono affezionata come a Totoro. (Tra l'altro, nel Museo Ghibli c'è un cinema, e abbiamo visto un corto su dei topolini lottatori di sumo che, anche se credo non rivedrò mai e non ho capito nulla, visto che era in giapponese, occupa un posto molto speciale nella mia memoria!)

Proprio per questa passione per Totoro ho scelto l'illustrazione di Barbieri. Era anche un modo, stupido, probabilmente, o quantomeno inadeguato, di esprimere quello che a parole non so dire su Fukushima.
Il tratto di Barbieri è inconfondibile, forse è vero che le sue figure umane sono tutte troppo simili (sono sue le copertine della Troisi), ma adoro la meticolosità delle sue illustrazioni. Guardate la copertina di Alice nel Paese della Vaporità, di Francesco Dimitri: più di Alice, mi piacciono gli ingranaggi. E il coniglio, ovvio.

Lavorando in Nord-Sud ho avuto modo di scoprire illustratori di cui prima ignoravo l'esistenza. Trovo alcuni albi di questa casa editrice davvero bellissimi. In certi casi, come per la Pacovska, ci ho messo un po' ad apprezzarla. Ero una per cui le illustrazioni, soprattutto delle fiabe 'classiche', dovevano essere altrettanto 'classiche', come quelle di Gréban, magari meno fosche. Ma quel delirio di colori, collage, la lamina argentata, il nero, l'ironia, mi hanno conquistata.
Di Giuliano Ferri mi ha conquistato definitivamente un albo - che non sono sicura sia già uscito - che ha per protagonista una lucciola: la storia è tenera, e i colori sono superlativi. Un po' melanconici, ma ci sta.

Ungerer, che firma albi un po' troppo 'grigi', è un pazzo e come tale lo amo. Gli hanno dedicato un museo, e se lo merita. Passa dai libri per bambini alle illustrazioni pornografiche, ed è un personaggio davvero notevole. Ispirato al suo albo forse più famoso, I tre briganti, è stato realizzato un film per bambini, Tiffany e i tre briganti, che secondo me merita - anche per la colonna sonora.




La Boynton, portata recentemente in Italia da Ape Junior, è vivace, allegra, solare, divertente. Le sue mucche hanno vinto tutto!



Della Dautremer ho già parlato (chissà quando esce il suo Alice... mi sa che me lo compro in Francia!), e di Blake, che altro c'è da dire se non che illustra i libri di Roald Dahl? Le mie illustrazioni preferite sono quelle di Matilde, ma forse perché Matilde è anche la mia storia preferita. Non riesco a scindere testo e immagine!

Non capisco chi pensa che le illustrazioni siano cose da bambini. Io rimpiango l'occhio con cui le 'divoravo' da piccola, e continuo a pensare che i libri illustrati non siano solo 'per piccoli'. Anzi, in certi casi mi chiedo se i bambini sappiano cogliere l'ironia... Ma ne riparlo prossimamente!

6.7.11

Profumo di madeleine e profumi sotto vetro

Uno scompare per un mese, non scrive più, dice che sta leggendo, e poi il primo post a cosa lo dedica? Ai profumi. Cioè a qualcosa di tendenzialmente frivolo e sostanzialmente impalpabile. Che poi, per leggere ho letto. Ho letto Carver con una lentezza che non mi appartiene (e poi, con rapidità e svogliatezza, un po' di romanzi usciti in questo periodo). Però oggi mi sono fissata con i profumi.

Perché solo i profumi sanno trasportarti completamente in altre epoche della vita. Sì, ok, anche i sapori, e Proust ce l'ha insegnato fin troppo bene. Però i profumi hanno scandito alcuni capitoli della mia vita. Dico proprio profumi profumi, quelli nei boccettini per capirci!

Quando ero adolescente, spopolava Ck One. Era onnipresente. I ragazzini il sabato sera lo indossavano come una divisa insieme alla camicia, generalmente bianca e sempre Ralph Lauren, al maglioncino blu o nero e ai jeans. Credo ci si rotolassero dentro (al profumo, non ai jeans). Io ho imparato presto che gli uomini che piacciono a me il profumo non lo mettono.

L'unico uomo che ho amato che usava un profumo era mio nonno. Non credo si possa parlare davvero di profumo, perché non ricordo che aleggiasse su di lui. Era forse un'acqua di colonia, ed era legata a un rito, quello della barba. Perché capitava che, arrivando io bambina da lui nel pomeriggio, nel saltargli al collo
trovassi pungente la ricrescita della barba. E siccome era un nonno che ci viziava da morire, andava a farsi la seconda barba della giornata - e non era a livello Homer Simpson, anzi!
Quindi io mi sedevo sullo spigolo della vasca e lo guardavo radersi. Poi si metteva sulle mani un po' di quest'acqua di colonia gialla, agrumata, che stava in un boccettino di vetro trasparente e rettangolare, e si dava dei colpetti sul collo. L'odore durava pochi secondi, ma ora che ne scrivo me lo sento ancora nelle narici.

Poi c'è stato un lungo capitolo della mia vita legato a Le feu d'Issey light, un profumo che ho usato e amato per anni, più o meno per tutta l'università. Adesso non lo sopporto più e non mi piacciono le fragranze di Miyake, probabilmente perché per me ha segnato un'epoca, che è finita. Alla fine delle storie c'è chi si taglia i capelli, e chi cambia profumo.

C'è voluto del tempo per tornare fedele a una sola fragranza. Ogni tanto annusavo qualcosa, ma era tutto troppo dolce, o troppo speziato, o troppo forte, o semplicemente cattivo. Ero stufa dei profumi e lo sono stata per anni. Poi, come nella miglior commedia romantica poco originale, il colpo di fulmine. L'ho incontrato sulle scale, ho chiesto informazioni su di lui, l'ho testato e ho capito che era il mio. Soprattutto, ci completiamo a vicenda - sì, sto ancora parlando di un profumo. Non mi ci rotolo dentro, odio chi la
scia una scia di profumo, però mi piace sentirmelo addosso o sui vestiti. Mi stupisco delle mie amiche che alternano profumi diversi, molto di più che non di quelle che non ne usano affatto. A me piace legare un'odore a una persona, o a una fase. Forse sono solo pigra, ma il modo in cui un profumo si associa a un ricordo mi affascina. Perché non è vero che un profumo è sostanzialmente impalpabile: lo è, sì, ma il modo in cui ci catapulta in un altro momento è la cosa più simile al teletrasporto che mi sia mai capitata.